Scampia, terra da vivere ed ascoltare

Pensieri sparsi dopo il rientro da una periferia

Irene Panzani della Comunità Capi del Lucca Ponte 1

Rientro a Lucca a mezzanotte. In Piazza Santa Maria, schiamazzi, ragazze sguaiate con tacchi 12 e ragazzi ingelatinati con bretelle e mocassini, macchine di lusso, la fila al bancomat.

Vicino alle Case dei Puffi a Scampia, c’è un ufficio postale, anche lì fanno la fila gli abitanti di un posto che sembra abbandonato dalle istituzioni. Abbandonato, non dimenticato. Come dimenticarsi di Scampia? Le vele, lo spaccio, gli obbrobri edilizi laddove si stendevano campi e boschi e volpi e altri animali. Scampia di Saviano, Scampia supermercato della droga, teatro di faide dove il diritto naturale prevale sulla legge di Stato. Ma quale Stato esiste a Scampia? Le strade sono quasi deserte, pochi commerci, non si vedono spazzini, a volte macchine di carabinieri.

Scampia è silenziosa rispetto al numero di persone che abitano tutti quei palazzi costruiti, prima, come lotti residenziali, poi, come edifici di emergenza post terremoto dell’Irpinia, e tutt’ora abitati. Le vele sono luoghi spettrali ai limiti della salubrità dove la luce, se c’è, è a volte presa dall’alta tensione, alcuni la pagano, altri si allacciano al contatore dei vicini, aumentandone la bolletta. Eppure c’è vita a Scampia. Ci sono persone che si svegliano e vanno a lavorare, c’è un controllo di vicinato sui bambini che abitano negli stessi rioni, con i loro cortili interni in cemento, grigi, e qualche sprazzo di colore dato dai panni e dal poco verde. Ma c’è vita a Scampia. Ci sono volontari, associazioni, persone ostinate che ancora credono che Scampia possa diventare un quartiere dove i bambini possano crescere senza conoscere la violenza. E allora lo Stato a Scampia sono tutte queste associazioni che non giudicano, che vogliono costruire con gli abitanti un’alternativa allo spaccio di droga, che accolgono centinaia di giovani e meno giovani che vogliono dare una mano pulendo le strade, zappando la terra, aprendo una nuova dimensione per i bambini del posto.

Gli architetti a volte andrebbero ammazzati. Lo diceva sempre un amico architetto argentino. E a Scampia è una delle cose che si pensano da subito. Il fallimento del concetto di Città Giardino promosso da Le Corbusier è evidente. Scampia manca di punti di ritrovo, di commerci di prossimità, di orizzonti. I palazzi alti almeno 10 piani, recintati, diventano prigioni. La stessa Chiesa di Santa Maria della Speranza sembra uno scherzo. Un tetto spiovente fatto di sanpietrini scende fino alla strada. É servito ai ragazzi come rampa per le loro acrobazie con i motorini, fino a quando non si è deciso di recintare tutta la struttura. Ogni volta che si entra o si esce è necessario aprire e chiudere due cancelli con due grandi lucchetti per evitare atti di vandalismo. Quello che doveva essere un luogo accogliente ed aperto, a causa della sua conformazione illogica e poco funzionale, è diventato un bunker. Ma la mattina alle 8 e la domenica per le funzioni, il cancello è sempre aperto. Gli Scout del Napoli 14 hanno qui la loro sede. Sì, perché Scampia è Napoli, la sua periferia più famosa. Eppure dopo l’ultima faida e l’ondata di arresti da parte della polizia, lo spaccio e i tossicodipendenti si sono spostati verso altre zone. A Scampia resta qualche piccola mano, i figli di carcerati che vedono lo spaccio come unico modo per guadagnare soldi e portare il pane in famiglia. Famiglia spesso numerosa, fatta di fratelli e sorelle, di madri talvolta agli arresti domiciliari.

E se c’è poco lavoro e possibilità per i giovani fuori di Scampia, figuriamoci in questo luogo dove lo Stato non è ancora riuscito a rispondere all’emergenza abitativa. Da anni si parla di abbattere le vele e dare una degna abitazione a coloro che continuano a viverci abusivamente. Ma le vele e le case costruite nel post emergenza del terremoto dell’Irpinia restano in piedi. E così i campi Rom. Rom che non sono accettati, raramente integrati e vivono in condizioni limite. Rom spesso sgomberati per ritrovarsi senza casa, senza un’alternativa al loro vivere precedente. Ma qualche passo si fa. Si dice che una ragazza rom, si sia iscritta alle superiori, la prima rom che avrà accesso agli studi superiori. Grazie ai volontari, i bambini rom sono portati a giocare alla Villa Comunale, parco che si trova al centro di Scampia. Qui condividono lo spazio con altri bambini del posto, sebbene siano oggetto di sguardi diffidenti. E poi c’è Mimì, Domenico Pizzuti, gesuita e sociologo, che si batte per i diritti dei Rom e tuona dall’alto dei suoi 87 anni. Un uomo che conserva l’impulsività e l’entusiasmo di un bambino con un’esperienza di vita che l’ha portato sempre a fianco dei più deboli, delle minorità, degli emarginati.

La Villa Comunale è un altro esempio di fallimento architettonico. Sembra una piscina, è circondato da spalti che non fanno vedere la strada adiacente. Per entrare è necessario passare da porte o scavalcare cancelli. Vi sono poche fontane e solo dopo la pressione delle associazioni è stato rinnovato il parco giochi per bambini e un campetto da calcio.

Allora cosa fare di Scampia? Raderla al suolo? Portare al riparo i bambini da famiglie disastrate e incapaci talvolta di seguirli e accompagnarli nella loro crescita? No. Scampia ha tutto l’humus necessario per essere coltivata con amore e pazienza. Amore e pazienza, ingredienti che le istituzioni incarnano sempre di meno. Sembra che il Centro Hurtado, luogo che ospita la Cooperativa La roccia e le attività dei Gesuiti abbia ricevuto una lettera di sfratto. Qui vi sono una sartoria, un laboratorio di rilegatura di libri e aule per il dopo scuola. Qui, nel loro piccolo, i Gesuiti sono riusciti a creare qualche posto di lavoro e momenti formativi. Iniziative dal basso di questo genere andrebbero aiutate e promosse, invece vengono ostacolate. Perché?

Ed anche il Gridas, Gruppo Risveglio dal Sonno, associazione nata su volere dell’artista Felice Pignataro e sua moglie Mirella, rischia di essere messa alla porta dall’IACP, l’Istituto Autonomo Case Popolari. E pensare che sono stati proprio Felice, Mirella ed altri abitanti del rione Monterosa a ristrutturare e dare nuova vita a questo spazio che stava andando in malora agli inizi degli anni ’80. L’evento più conosciuto del Gridas è il Carnevale che ha luogo la domenica prima del martedì grasso. Carnevale preceduto da laboratori per la creazione di maschere ed incontri, prove d’orchestra e riflessioni sul contemporaneo. Il corteo del Carnevale del Gridas cammina per 4 km tra Scampia, Piscinola e Monterosa, ogni anno accoglie centinaia di persone che vengono anche dal resto d’Italia e d’Europa. Si tratta di un evento di protesta, di presa di coscienza dove la musica e il ballo diventano momenti di liberazione e critica. Il Gridas è anche sede di un cineforum, è spazio aperto ad altre associazioni di abitanti e lavoratori del posto. Possibile che anche questa realtà debba vedersi sfrattata?

E allora la domanda che Salvo, padre gesuita, ha fatto a me ed ai ragazzi del Clan del Lucca Ponte 1 all’inizio del nostro servizio, mi rimbomba in testa: di cosa ha bisogno Scampia?”

La determinazione di Padre Sergio, Padre Walter, Padre Mimì, di giovani che nonostante tutto vogliono restare a Scampia per contribuire alla sua rinascita, la generosità degli abitanti che ci hanno accolto vedendo in noi un segno di speranza per i loro figli, tutti quei volti che ci hanno sorriso, ma anche tutti quei bambini che ci hanno ingiuriato, mi seguono, mi interpellano.

Di cosa ha bisogno Scampia? Scampia ha bisogno di essere ascoltata. Scampia ha bisogno di essere presa in considerazione. Scampia ha bisogno di cura. E questa cura può servire solo se nasce, cresce e perdura dal basso, se ad essere potenziate sono tutte quelle realtà che già esistono sul territorio, lottano, resistono e convivono col brutto e col bello, convinte che il loro operato darà un giorno dei frutti. Scampia non ha bisogno di storie che la raccontano parzialmente, non ha bisogno di pubblicità ma di lavoro e bellezza. Non ha bisogno di parole, ma di fatti. Non ha nemmeno bisogno di nuove costruzioni, perché le nuove costruzioni dovrebbero essere pensate con i suoi abitanti e non imposte. Scampia ha bisogno di essere ascoltata e perdonata, non punita. E perdonati devono essere tutti quei bambini che ci prendono a male parole, calciano, gridano contro di noi, avventori di una settimana che non possono assolvere al compito dei genitori, degli insegnanti, delle istituzioni, né farsi giudici di una realtà che non potranno mai comprendere fino in fondo.

Eppure Scampia ha bisogno anche di noi, quanto meno per ripopolare quei viali immensi e deserti, quegli spazi cementificati, quei parchi desolati. Per suscitare curiosità, per aprire una dimensione altra che faccia intravedere un’alternativa a coloro che hanno il desiderio di accoglierla.

Infine, spero che il progetto Restart Scampia promosso dal Comune di Napoli e recentemente finanziato grazie al Bando statale per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, riesca a tener conto di tutte le energie del territorio menzionate sopra, a ricucire la frattura tra Istituzioni e comunità locale, ad essere motore di una nuova economia sostenibile e solidale.

O almeno questa è la mia preghiera.

Sagra LuccaPonte1 2014

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